E-commerce, semplificata la vendita online intra Ue
Atteso all’esame preliminare del Consiglio dei ministri il Dlgs di attuazione delle direttive UE 2017/2455 e 2019/1995 con la nuova regolamentazione Iva che dal 1° luglio 2021 informerà le vendite on line unionali. Il decreto, oggetto di una specifica consultazione pubblica, disciplina in modo puntuale: (i) la definizione di vendite a distanza con diretta rivisitazione dei connessi principi di territorialità dell’imposta; (ii) le procedure di semplificazione (Ue e extra-Ue) per le cessioni unionali verso consumatore finale (B2C) con cui gli operatori extracomunitari e comunitari potranno gestire direttamente con lo Stato di identificazione o di stabilimento tutte le transazioni realizzate in altri Stati membri (Oss); (iii) il trattamento Iva delle cessioni B2C effettuate attraverso i “ facilitatori” (marketplace); (iv) le semplificazioni previste per le importazioni di beni con valore non superiore a 150 euro e, sempre in tema di importazioni, la nuova procedura alternativa dello Ioss.
Utilizzabili ai fini fiscali i dati delle attività antiriciclaggio
Con l’imminente messa a regime del Registro dei titolari effettivi, anche l’amministrazione finanziaria italiana avrà ulteriori strumenti di controllo e verifica che potranno essere utilizzabili anche ai fini fiscali. Ciò emerge dall’articolo 9, comma 9, del Dlgs 231/2007 come modificato dal Dlgs 90/2017, secondo cui i dati e le informazioni acquisite nell’ambito delle attività di prevenzione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e dunque anche quelle che saranno contenute nel Registro di titolari effettivi, siano utilizzabili ai fini fiscali.
La norma ha recepito le previsioni della direttiva UE 849/2015 che fa rientrare i reati fiscali, connessi alle imposte dirette e indirette, nell’ampia definizione di «attività criminosa». Sul piano applicativo, la possibilità di un utilizzo diretto ai fini fiscali dei dati e delle informazioni acquisite nel corso di un controllo antiriciclaggio, riesce a superare la necessità di acquisire nuovamente tali dati, attraverso l’attivazione dei poteri tipici dell’accertamento fiscale (Dpr 633/1972 e 600/1973). Da questo punto di vista l’articolo34, comma1, del decreto antiriciclaggio, aggiunge che «i dati e le informazioni conservate secondo le norme di cui al presente Capo sono utilizzabili a fini fiscali».
Sanzioni e accertamenti ridotti per chi paga e incassa cashless
Il ricorso sempre più frequente all’uso di mezzi di pagamento elettronici, accelerato dalla pandemia e incentivato dallo Stato (tra cashback e lotteria degli scontrini), riporta all’attenzione una serie di misure fiscali già presenti nell’ordinamento, che offrono vantaggi sia sul fronte delle sanzioni sia su quello dei termini d’accertamento.
Sanzioni dimezzate
È il caso della riduzione al 50% delle sanzioni per le violazioni in materia di dichiarazione Iva (ma anche redditi e Irap) e di obblighi strumentali (fatturazione, registrazione) prevista dal Dl 138/2011 per chi usa solo mezzi d’incasso/pagamento diversi dal contante per tutte le operazioni attive/passive eseguite nell’esercizio dell’attività.
Vale per gli operatori con ricavi/compensi non superiori a 5 milioni di euro, che devono indicare nelle dichiarazioni dei redditi e Iva gli estremi dei rapporti con gli operatori finanziari intrattenuti nell’anno cui si riferisce la dichiarazione e per cui s’intende fruire del beneficio. La riduzione delle sanzioni opera quindi per singolo anno: se si omette di eseguire la segnalazione, per le violazioni commesse nel periodo di riferimento non ci sono benefici.
Per l’Iva, si tratta di compilare il quadro VB del modello 2021 (ripetendo la segnalazione nel quadro RS del modello Redditi). Anche i soggetti esonerati dalla dichiarazione, se ritengono di presentarla, dovranno compilare il quadro VB per avere lo “sconto” (potrebbe essere il caso di chi effettua solo operazioni esenti e intende riportare un’eccedenza d’imposta a credito).
In ogni caso, l’agevolazione dovrebbe competere anche a coloro che, non presentando la dichiarazione Iva (perché dispensati), si limitano a indicare i rapporti finanziari nel modello Redditi. La riduzione delle sanzioni alla metà deve inoltre ritenersi valida anche ai fini del calcolo dei minimi edittali per il ravvedimento operoso.
Affidamenti bancari, proroga ma serve la richiesta dell’azienda
Affidamenti bancari in scadenza con proroga automatica, ma è necessaria la dichiarazione con la quale l’impresa attesti di essere in carenza di liquidità. Ad oggi, tuttavia, non sembra esserci una specifica per identificare lo stadio oltre il quale un’impresa possa dichiarare di trovarsi in questa condizione.
Con la proroga al 30 giugno 2021, concessa dalla legge di bilancio 2021, e quella prevedibile al 31 dicembre 2021, in parallelo con quanto avvenuto per il Quadro Temporaneo, sono molte le imprese che si trovano con gli affidamenti in scadenza soggetti a rinnovo.
Il Dl 18/2020 prevede la proroga in automatico, ma a molti è sfuggito che è l’impresa a doversi fare promotrice. Alcuni istituti sembrano convinti, addirittura, che le imprese debbano inviare la dichiarazione prima che scadano gli affidamenti.
Crediti d’imposta, uso indebito a rischio reato anche per i privati
L’indebita compensazione di un credito di imposta può avere ripercussioni anche sotto il profilo penale e in considerazione della più recente normativa sui numerosi incentivi attribuiti proprio attraverso lo strumento del credito, è verosimile che in futuro la problematica possa interessare non soltanto le imprese ma anche i privati.
Sotto il profilo tributario, come evidenziato anche nel principio interpretativo pubblicato sul Sole 24 Ore dell’8 febbraio 2021, le modalità di qualificazione del credito (non spettante o inesistente) non sono irrilevanti e comportano conseguenze sotto diversi aspetti: sanzione, iscrizione a ruolo straordinaria ecc. A ciò va aggiunto che in presenza di indebite compensazioni superiori a 50mila euro, l’illecito è penalmente rilevante, e anche sotto il profilo penale (dal 22 ottobre 2015, entrata in vigore di alcune modifiche al regime penale tributario) la differenziazione tra credito non spettante e inesistente è assoltamene rilevante.
Aggregazioni, l’effetto giuridico detta i tempi al bonus sulle Dta
La legge di Bilancio 2021 intende favorire le situazioni societarie caratterizzate sia da difficoltà nella compensazione di perdite fiscali o eccedenze di Ace (nuovo bonus aggregazioni), sia dalla presenza di perdite civilistiche (proroga del credito d’imposta per gli aumenti di capitale).
Vediamo alcuni aspetti critici del nuovo premio per le aggregazioni aziendali, sui quali si attendono conferme e chiarimenti da parte dell’agenzia delle Entrate.
Le componenti da considerare
La norma consente – in caso di operazioni di fusione, scissione o conferimento di azienda – la trasformazione in crediti d’imposta (al 24%, aliquota Ires) delle imposte anticipate (Dta, deferred tax asset), anche non contabilizzate in bilancio, relative alle perdite fiscali e alle eccedenze di Ace maturate nei periodi precedenti.
Nel caso di fusione e scissione, le componenti agevolabili sono quelle delle società partecipanti all’operazione straordinaria; mentre nel caso di conferimento di azienda ci si riferisce alle posizioni del conferitario.
Un primo punto da considerare è la competenza delle perdite ed eccedenze da trasformare in credito d’imposta. L’agevolazione è infatti fruibile per le operazioni deliberate nel 2021, ma la norma indica come agevolabili le perdite e le eccedenze maturate e non utilizzate fino al periodo precedente quello di efficacia giuridica dell’operazione straordinaria: questo momento potrebbe scavallare l’anno di delibera e cambiare dunque il riferimento alle perdite e alle eccedenze di Ace.
Se pensiamo a un’operazione di fusione deliberata nel 2021, ma con effetto giuridico nel 2022, relativa a un soggetto con esercizio coincidente con l’anno solare, i dati da considerare per il calcolo dell’agevolazione dovrebbero essere riferiti a fine 2021; mentre sarebbero quelli a fine 2020 se la fusione avesse effetto giuridico già nell’anno di delibera. Nel caso innovativo di acquisizione del controllo nel 2021 e fusione del 2022, le componenti agevolabili saranno invece sempre quelle dell’esercizio precedente a quello dell’acquisizione, quindi quelle del 2020.
Transfer pricing, in bilancio gli aggiustamenti di fine anno
L’emergenza sanitaria Covid-19 avrà inevitabili impatti sulle policy di transfer pricing di molte imprese, tra questi la necessità di effettuare «aggiustamenti» di fine anno per riportare all’interno del range di «libera concorrenza» l’indicatore finanziario relativo alla metodologia di transfer pricing applicata dal gruppo.
La Cassazione
Va detto che la tematica degli «aggiustamenti» di fine anno non è affrontata espressamente dal legislatore nazionale, né ai fini delle imposte sui redditi, né ai fini Iva. Dal canto suo, la Corte di cassazione avrebbe (per così dire) bocciato tali rettifiche (pronunce 7 novembre 2018 n. 28337 e n. 28338 e 13 luglio 2012 n. 11949). A seguire il ragionamento della Suprema Corte, le imprese non avrebbero altra alternativa, se non quella di fissare ex ante i prezzi ritenuti conformi al principio di «libera concorrenza».
Si tratta di un orientamento fortemente criticabile, dal momento che gli «aggiustamenti» di fine anno, operati come rettifica dei prezzi applicati medio tempore, come pure come «aggiustamento del margine», lungi dal rappresentare una manovra elusiva, servirebbero proprio per garantire il rispetto dell’arm’s length principle.
Gli aggiustamenti di fine anno
Al fine di evitare contestazioni e problematiche di doppia tassazione lo EU Joint Transfer Pricing Forum (Report on compensating adjustments, 2014) raccomanda che le rettifiche di fine anno vengano previste contrattualmente e vengano rilevate, ai fini contabili, da entrambi i soggetti coinvolti nell’operazione.
Qualora la correzione di fine anno sia di segno positivo (variazione in aumento) e legata a precedenti cessioni di beni o prestazioni di servizi, è necessario rettificare la base imponibile Iva.
Infatti, tutte le volte che, successivamente all’emissione della fattura o alla registrazione, l’ammontare imponibile di un’operazione o quello della relativa imposta viene ad aumentare, bisogna integrare la base imponibile e l’imposta. Per la variazione in aumento si tratta di un obbligo e non di una facoltà.
Per le correzioni di fine anno di segno negativo, invece, ai sensi dell’articolo 26, comma 2, del Dpr 633/1972 «il cedente del bene o il prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19, l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25». Si tratta, quindi, di un diritto e non di un obbligo: la variazione in diminuzione può essere legittimamente operata anche solo documentando l’ammontare della correzione monetaria, senza intervenire sull’imposta (cosiddetta «nota di credito fuori campo Iva»).
L’Iva scatta se c’è legame operazione-corrispettivo
Per gli aggiustamenti transfer pricing calcolati ai fini delle imposte dirette, l’Iva scatta solo se esiste un corrispettivo e un collegamento tra tale corrispettivo e l’operazione originaria. Questa è la posizione espressa dalla Commissione Europea e sposata dalla maggior parte degli Stati Ue (si veda la tabella in alto).
Le regole in materia di transfer pricing sono volte a determinare il valore normale di una transazione tra parti collegate mentre la base imponibile ai fini Iva corrisponde, quale regola generale, al corrispettivo effettivamente pagato a fronte di una cessione di beni ovvero di una prestazione di servizi. In ambito Iva, il valore normale è circoscritto e può essere applicato con la finalità di prevenire evasioni ed elusioni.
L’Iva, inoltre, è un’imposta che si applica sulle singole transazioni, mentre l’aggiustamento ai fini del transfer pricing policy viene tipicamente effettuato “per masse”.
La tematica che si pone è se l’aggiustamento operato ai fini transfer pricing possa qualificarsi come un corrispettivo rilevante ai fini dell’Iva. Per tale imposta non è richiesto che il corrispettivo sia pari al valore normale: ai sensi dell’articolo 73 della direttiva 112/2006/Ce rileva quanto effettivamente versato al fornitore. Dovrà poi essere possibile trovare un collegamento diretto tra l’adjustment e la specifica transazione.
La questione è ampiamente dibattuta sia a livello comunitario sia a livello nazionale, ma ad oggi non vi sono indicazioni vincolanti e soprattutto uniformi nei vari Stati membri.
Con l’integrativa si può recuperare il patent box per l’anno 2015
È ancora possibile usufruire della deduzione da patent box dell’esercizio 2015 attraverso la dichiarazione integrativa a favore riferita al 2016.
Lo conferma la risoluzione 9/E/2021 del 10 febbraio secondo cui, a seguito della sottoscrizione dei ruling, le società interessate possono cumulare nella integrativa sul 2016 le variazioni dei due anni in cui l’Ires scontava ancora il 27,5 per cento. L’insorgenza, con l’integrativa, di un credito Irap richiede la revisione dell’importo della deduzione del 10% dall’imponibile Ires.
Liquidazione Iva, il credito reale dipende dai versamenti effettuati
Entro il prossimo 16 febbraio i contribuenti Iva mensili dovranno provvedere alla liquidazione Iva del mese di gennaio 2021 avendo riguardo al risultato della liquidazione annuale Iva 2020.
A questo proposito i righi della dichiarazione Iva che evidenziano l’esito della liquidazione annuale e quindi l’ammontare dell’imposta a debito/credito sono rispettivamente il VL32 (saldo a debito) e il VL33 (saldo a credito).
Nessun problema si pone in caso di liquidazione Iva annuale a debito, l’imposta dovuta dovrà essere versata entro il 16 marzo in unica soluzione ovvero rateizzata ai sensi dell’articolo 20 del Dgs. n. 241 /1997 o ancora differita alla scadenza prevista per il versamento delle somme dovute in base alla dichiarazione dei redditi, con la maggiorazione dello 0,40% a titolo d’interesse per ogni mese o frazione di mese successivo al 16 marzo.
Diversamente, particolare attenzione deve essere posta in caso di esito della liquidazione Iva annuale a credito (VL33). Le istruzioni al modello Iva 2021 precisano, a proposito del rigo VL33, che «nel calcolo del credito emergente dalla dichiarazione occorre tenere conto esclusivamente dei versamenti effettuati.
Qualora da tale calcolo emerga un importo negativo il presente rigo non deve essere compilato». Quindi, solo se l’Iva dovuta in conseguenza delle liquidazioni periodiche è stata effettivamente versata, la dichiarazione chiuderà a credito ed il credito “potenziale” esposto al rigo VL33 risulterà coincidente con il credito Iva “effettivo”, cioè quello risultante dalla liquidazione Iva del mese di dicembre 2020, riportabile e utilizzabile già in sede di liquidazione Iva mensile del mese di gennaio 2021 senza ulteriori vincoli (Iva su IVa).
Diversamente, cioè in caso di versamenti iva parziali, il credito Iva “potenziale” esposto al rigo VL33, non potrà coincidere con il credito Iva “effettivo” in quanto “congelato” per un importo pari all’omesso versamento.
Fringe benefit, per ora stretta confermata
La stretta sull’auto aziendale in busta paga resta invariata: sono stati dichiarati inammissibili gli emendamenti al decreto milleproroghe (Dl 183/2020) per alzare le soglie oltre le quali scattano gli inasprimenti sul fringe benefit previsti dalla legge di Bilancio 2020 sui veicoli assegnati dal 1° luglio scorso in uso a dipendenti, collaboratori o amministratori in uso promiscuo (lavorativo e nel tempo libero).
Teoricamente, il contenuto di questi emendamenti può ancora essere “ripescato” dal Governo nel testo del Dl per come verrà convertito in legge o nel testo di altri provvedimenti. Ma per ora le aziende dovranno continuare a calcolare il fringe benefit secondo le regole attuali. Operazione peraltro non facile: il parametro fondamentale, cioè il livello di emissioni di CO2, si può trovare solo sulle carte di circolazione, nonostante la sua ampia pubblicizzazione sia un obbligo di legge.
Le conseguenze della bocciatura degli emendamenti, comunque, si avvertiranno perlopiù su modelli più sportivi o lussuosi rispetto a quella che nell’immaginario collettivo è un’auto aziendale. Infatti, nella fascia di emissioni compresa tra 61 e 160 grammi/chilometro di CO2, il valore del reddito in natura imputato nell’imponibile di chi utilizza l’auto resta com’era anche prima del 1° luglio 2020 (il 30% del costo chilometrico calcolato dall’Aci, applicato a una percorrenza di 15mila chilometri annui): si passa al 50% solo nella fascia 161-190 g/km e addirittura al 60% oltre i 190 g/km.
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